Intervista a Enrico Rava: Note senza Confini

Intervista ad Enrico Rava in occasione del concerto del 15 novembre 2023 al Teatro Lauro Rossi di Macerata per la Rassegna Macerata Jazz 2023/2024

 

“Note senza confini”

15 novembre 2023. È sera e dopo un accurato sound-check, raggiungiamo i camerini del Teatro Lauro Rossi. Ad accoglierci nel brulichio di chi, da lì a breve, si prepara ad andare in scena, è il trombettista internazionale Enrico Rava. L’occasione giusta questa, per fare due chiacchiere con chi grazie alla sua passione, ha iniziato un viaggio senza sosta tra generazioni e continenti.

Spesso nelle sue interviste ricorre l’esigenza di narrare grazie alla sua musica, in particolare cito: “Non sono un improvvisatore – la gara sugli accordi, quelle cose lì, non sono io. Io credo, spero, mi illudo di essere un raccontatore”. Le chiedo, cosa ha significato e cosa vuol dire tutt’oggi per lei vivere per e della sua musica? E in questo senso, quale messaggio in particolare affida alle sue note?

Non affido nessun messaggio: la musica non ha messaggi, la musica è musica. La musica è innocente. Non è né di destra, né di sinistra, né di centro. Le note non hanno nessun rapporto col mondo reale ed è l’unica arte di cui si può dire questo. Chiaramente poi, mettendo le parole, si dà il significato che si vuole ed è così che nasce l’opera, la canzone, ma la musica in sé, le note, sono innocenti, apolitiche e non hanno nessun messaggio per quanto mi riguarda. Essa non ha neanche nessuno scopo: la musica è una necessità dell’uomo di farla, così come c’è la necessità di alcune persone di ascoltarla, perché arricchente spiritualmente e in grado di dare piacere.

A tal proposito il Jazz, per sua definizione può dirsi libero da regole compositive della tradizione colta, ricco di continui flussi creativi, dove l’imprevedibilità dell’improvvisazione regna, insieme all’apertura, l’inclusione… Cosa può insegnare questa espressione artistica a chi si approccia a questo tipo di musica, specie a un giovane? Esiste una vera e propria pedagogia del Jazz?

Non possiamo parlare di pedagogia del Jazz. Possiamo insegnare le regole della musica, che valgono anche per il Jazz, ma la musica in sé non si può insegnare perché è creazione e in questo senso, c’è chi ce l’ha e chi no, e nel mio caso, ho sentito avere dentro di me il Jazz fin da quando ero bambino. C’è gente che pur ricevendo tutti gli insegnamenti e diventando bravissimi a suonar quel che si vuole, non ha quel senso, quella vocazione al Jazz; al contrario, qualcun altro pur non avendo imparato niente, fa succedere un sacco di cose col suo strumento.

Non è la musica a plasmare, sarebbe folle pensarlo, significherebbe chiederle veramente troppo. Come tutte le passioni che vengono vissute, possiamo dire che fa del bene alla persona che la vive, la può migliorare come individuo. Laddove c’è una passione, questa arricchisce enormemente la persona. Occupandole un sacco di tempo, sicuramente le impedisce di non sprecarlo a fare “stronzate”. Ammiro molto quei ragazzi che vengono da me a Siena, dove io faccio un seminario tutti gli anni, perché sono dediti alla loro passione, si informano, studiano, stanno a casa a esercitarsi invece di andare in giro come delinquenti, per fare i cretini o per molestare le ragazze. Che meraviglia che ci siano ancora persone, dei ragazzi, benché siano rimasti in pochi, che hanno un’altra idea della vita.

Giunto negli anni di una certa maturità umana e artistica e alla luce della sua esperienza di vita, quale è il suo modo di approcciarsi alla vita, alla realtà? Come allena i suoi occhi a restare capaci di meraviglia?

Io non li alleno, io mi metto nella condizione di essere sorpreso con la musica in particolare, scegliendo determinati compagni di viaggio, scrivendo un certo tipo di musica che permette che avvenga ad un tratto, qualcosa che non era assolutamente previsto. Se questa sorpresa crea un momento sublime, mi può dare meraviglia. Ci sono spesso durante un concerto alcuni momenti sublimi, cioè momenti in cui c’è la sorpresa che genera la meraviglia. Ciò vuol dire che i musicisti erano veramente connessi fra di loro, si ascoltavano, ricevevano tutto quello di cui avevano bisogno e davano quello di cui gli altri avevano bisogno. È in questi casi che sul palcoscenico  si  viene a creare quella che io definisco una specie di “democrazia perfetta” che può esistere solo lì: al di fuori non ho mai visto qualcosa del genere. Sono attimi sublimi di democrazia perfetta nel corso del concerto, che non ci sono sempre, ma allo stesso tempo quasi sempre se uno struttura la musica in modo tale che si possano verificare delle sorprese. Se altrimenti si ha già tutto in mente quello che si vuole succeda, nel migliore dei casi, che è già comunque un buon risultato, si avrà un’esecuzione perfetta. Nell’esecuzione di una sinfonia di Beethoven, tutti i musicisti di un’orchestra si rendono conto di essere lì non in veste di semplici impiegati, ma come una “rotellina” all’interno di un meccanismo straordinario, dove ognuno è importantissimo, sia da chi suona il triangolo, sia a chi suona il primo violino. In questo caso non è presente la sorpresa, ma si tratta ad ogni modo di un altro tipo di meraviglia, quella per questa “macchina umana”…

…un po’ come avviene in un puzzle, se manca un pezzo il disegno è incompleto, “non funziona”

Sì. Ad ogni modo, pur generandosi la meraviglia per la perfezione, manca la sorpresa di cui parlavo io, ciò di cui personalmente ho bisogno. Ho comunque una grandissima ammirazione per i musicisti dei concerti di musica classica, i quali non fanno un minimo errore.

E l’errore nel Jazz che importanza ha?

L’errore è importante perché può essere un errore e come tale è meglio non farlo, ma se uno ha i riflessi abbastanza pronti, può essere anche l’occasione per inventarsi qualcosa all’istante che lo giustifichi. Con una nota sbagliata, fuori armonia, si può creare immediatamente una frase che fa sì che quella nota sbagliata sia parte integrante. Molto spesso sono questi i momenti più interessanti.

            È orgoglioso di questo progetto che sta portando avanti con questi giovani musicisti? Da cosa nasce l’esigenza di accompagnarsi con loro?

Sono musicisti che ho conosciuto nel corso dei miei seminari e con loro suono da più o meno tempo. In Italia non è come in Francia, dove prima o poi tutti arrivano e si esibiscono a Parigi, come lo stesso accade negli Stati Uniti, a New York e in Gran Bretagna, a Londra, dove si possono conoscere tutti. Da noi c’è ancora il retaggio dei comuni, per cui abbiamo tanti centri quasi autonomi. Io che giro molto, ho visto paesini in Sicilia in cui ci sono musicisti incredibili che probabilmente passeranno tutta la loro vita in quel luogo, diventando delle piccole star locali.  Nessuno al di fuori, nei grandi centri, sentirà parlare di loro e questo vale per tutte le regioni. Musicisti come questi con cui suono, non li avrei mai conosciuti senza il seminario che svolgo tutti gli anni a Siena, dove da tutta Italia arrivano giovani musicisti che superano una difficilissima selezione. Appena posso quindi, chiamo queste persone, come ad esempio Rita, conosciuta al seminario di tre anni fa e che dall’anno scorso mi affianca.

 

 

Intervista di Deborah Mazzieri

(nell’ambito del Laboratorio “IMPROVEisACTION” di UNIMC – Università degli Studi di Macerata e Musicamdo Jazz)

 

Macerata 15.1122023

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