ImproveIsAction: intervista a Sergio Cammariere

28/10/2022 di Mariamichela Perna

 

Tutto quello che… un’intervista a Sergio Cammariere  

Sergio Cammariere è un artista elegante, un pianista magnetico, una personalità ineccepibile.

Ad aprire la 53ª edizione del Macerata Jazz è stato proprio lui, abbracciando il pubblico del teatro Lauro Rossi di Macerata con le sue note soffici e con la sua voce fautrice di storie e melodie.

Una scaltra improvvisazione è stato l’ingrediente principale del concerto, ma le sue note e le brevi chiacchierate al pubblico non ci sono bastate. Di un artista così pieno di vocazione abbiamo voluto saperne di più. Per questo, siamo andati a fare due chiacchiere con lui prima del concerto.

 

Come sta?

Oggi è una giornata particolare. Ma ora sono qui, farò il concerto e subito dopo tornerò a Roma. Non vedo gli altri musicisti da oltre un mese…

Che tipo di concerto ha preparato per questa sera?

A dirla tutta, non abbiamo una vera e propria scaletta. Il nostro segreto è quello di non fare mai le prove, in una parola: improvvisare. Il Jazz si chiama così per questo motivo e i grandi maestri sono tali proprio perché hanno insegnato quella che è la misura, il sottrarsi…

A proposito di grandi maestri: ci sono degli artisti che hanno particolarmente ispirato il suo percorso?

L’elenco è immenso: partiamo dalla musica di Monteverdi fino ad arrivare a Luigi Nono, quindi dal Medioevo fino alla musica moderna, dodecafonica, contemporanea, sperimentale, elettronica… poi c’è l’altra musica, quella etnica, che viene dal cuore. Penso, ad esempio, ai villaggi africani, a quel battito che ha fatto nascere il blues. Il blues che, così come il jazz, appartiene a quelle musiche che ci sono arrivate dopo e grazie al quale si è aperta quest’altra sfera musicale. Posso dire quindi che tutti i maestri che ho incontrato hanno in qualche modo ispirato la mia carriera; ognuno di loro mi ha indicato in qualche modo la strada.

Come ha mosso i primi passi nel mondo della musica?

Ho avuto la fortuna, sin da bambino, di riuscire a captare subito le note, ascoltandole solo una volta riuscivo a imitarle con il solo aiuto dell’orecchio. La prima fase è stata quella della percezione la quale, insieme alla sensibilità, ti permette di capire i gradi e le regole della musica. Poi è arrivata la seconda fase, quella del saper ascoltare, con umiltà e in silenzio, e assimilare.

Parliamo ora di epoche, qual è stato il periodo che ha più segnato la sua vita a livello artistico?

Ho avuto la fortuna di vivere in prima persona la musica degli anni ’70. Quegli anni per me sono stati una grande rivoluzione, sia musicale che culturale. A inondare le mie giornate c’era la musica rock dei Genesis e dei Pink Floyd che io, insieme ad altri amici, cercavo di risuonare. Passavo le giornate cercando di riprodurre anche la musica dei gruppi dell’epoca come Le Orme, La PFM, i Banco del Mutuo Soccorso. Questa è stata l’epoca che mi ha ispirato di più.

Cos’altro l’ha aiutata a fare musica?

I viaggi. Ho viaggiato, mi sono fermato in Brasile per qualche mese, negli anni ’80, e da lì è nato il mio grande amore per la bossa nova. La mia musica è un mix di tutte le correnti che ho citato finora.

Leggo dalla sua biografia di una forte collaborazione con Roberto Kunstler: le va di raccontarci qualcosa?

Quello con Roberto Kunstler è stato un bellissimo incontro nato grazie a Vincenzo Micocci, fondatore della It, un’etichetta per la quale Roberto Kunstler, negli anni ’80, incise tre album. Successe che in quello stesso periodo, Vincenzo ascoltò le mie canzoni, gli piacque molto l’atmosfera ma non apprezzò i testi. Ebbe allora l’idea di unire Roberto Kunstler e Sergio Cammariere in un album che uscì nel ’93: I ricordi e le persone. La nostra lunghissima collaborazione nacque da quel disco. Quello con Roberto è un rapporto felice perché lui è per me un Rimbaud italiano, un poeta maledetto e insieme condividiamo le stesse sensazioni quando siamo in sede di composizione.

Come vivete il rapporto musica-parole?

Nel mio libro Libero nell’aria parlo molto del nostro modo di affrontare la poesia, ovvero in maniera certosina. Io e Roberto cerchiamo sempre di trovare la parola giusta che calzi come la scarpetta di Cenerentola. Capita che a volte ci fermiamo su una frase e non la finiamo, così che il brano resta fermo per anni. Al momento ci sono almeno cinquanta canzoni lasciate “aperte” proprio perché non siamo riusciti a definirle.

Avete qualcosa di nuovo in cantiere?

Ti annuncio che tra qualche mese uscirà il mio nuovo album. Composto da tredici canzoni, scritte tutte con Roberto Kunstler. Per realizzare questi brani ci abbiamo messo sette anni. C’è stato un grande lavoro soprattutto nella scrittura perché le canzoni nascono alle volte da un incipit melodico e, altre volte, dal componimento metrico. Siamo in continua ricerca perché non ci preoccupiamo soltanto del significato ma soprattutto del suono, della parola. E l’italiano, da questo punto di vista, è una lingua straordinaria.

Un’ultima domanda prima di lasciarla al concerto:
“Tutto quello che un uomo” compie quest’anno 20 anni di storia. Com’è nato questo singolo?

All’epoca di questa canzone ci seguiva Biaggio Pagano, il mio allora produttore. Nel 2001 aprì una scommessa: incidere l’album di Sergio Cammariere come disco Jazz. Come primo singolo uscì Sorella mia e, in quel periodo, Tutto quello che un uomo non era ancora nata, arrivò dopo e successe una cosa insolita: per me e Roberto è sempre importante trovare le parole giuste, ma quella volta non fu così, è arrivata prima la melodia e poi tutto il resto. Credo che questa canzone sia arrivata dal cielo!

 

Mariamichela Perna

Cerca Concerto
Social Stream